I danni e i costi delle patologie organizzative
I danni e i costi delle patologie organizzative, quelli che derivano dal mobbing o da disagi lavorativi diffusi, sono del tutto sottovalutati, misconosciuti o, addirittura, colpevolmente negati dalle aziende.
Prosegue su questo tema la pubblicazione dell’intervento di Nunzia Pandoli al convegno “Il mobbing come ipotesi di discriminazione”.
Sin dalle prime fasi quando i primi sintomi del disagio lavorativo cominciano a manifestarsi, l’azienda o l’Ente ne risente in modo negativo: dal punto di vista economico e di immagine.
Sin dalle prime fasi, infatti, la vittima perde concentrazione e non lavora più con gli stessi ritmi e la stessa efficienza.
Le ricerche hanno rilevato una notevole riduzione della produttività, anche dell’80% della capacità lavorativa individuale.
L’azienda malata subisce poi tutti i costi di questo fenomeno perché continua a pagare lo stipendio spettante al mobbizzato e continua a pagare il 100% dello stipendio di chi contribuisce a creare le condizioni di disagio, nonostante sia proprio lui/lei a causare danni all’azienda.
Tuttavia le aziende, in genere, non se ne rendono conto subito, ma solo quando tutte le peggiori conseguenze sono divenute ormai evidenti.
Se ne rendono conto solo quando il clima aziendale è già degenerato e sono aumentati i costi legati alle disfunzioni organizzative.
Oppure quando l’azione legale ha esito sfavorevole e il risarcimento dei danni al lavoratore è elevato.
Le patologie organizzative
Tutti questi costi sono generati da una serie di patologie organizzative:
- le azioni vessatorie inducono le vittime a compiere errori che si ripercuotono negativamente sui processi lavorativi che tra l’altro innescano tensioni nei rapporti con i colleghi e nei processi rivolti all’esterno in quanto creano disfunzioni nei confronti dei clienti o dei cittadini, nel caso delle amministrazioni pubbliche
- l’emarginazione, l’isolamento e la sottrazione di mansioni e di responsabilità (demansionamento) abbatte la produttività
- tra il 5% e il 10% del tempo lavorativo degli aggressori viene dedicato alla progettazione ed esecuzione delle azioni mobbizzanti, sottraendo concentrazione ed energie al lavoro e abbassando la produttività
- anche gli “spettatori” sono distratti, consumano tempo ed energie preziose in commenti e comunicazioni tra colleghi di contenuto negativo su quanto avviene in azienda, in un circolo vizioso che peggiora sempre più il clima interno.
La circolazione delle voci e delle chiacchiere richiede tempo e attenzione… quante energie si perdono solo per parlare di ciò che sta succedendo !
Il mobber: il sabotatore dell’organizzazione
Il mobber agisce di fatto come un sabotatore sistematico dell’efficacia organizzativa e danneggia l’azienda/ente prima ancora che la vittima.
Nel momento in cui il mobbizzato manifesta patologie psicosomatiche che lo costringono a lunghe e continuate assenze per malattia, l’azienda ha un ulteriore aggravio dei costi: deve sostituire il lavoratore vessato con un altro, in genere meno esperto e competente nella mansione, o incaricare qualcuno di svolgere anche il lavoro della vittima, oltre che quello già assegnatogli, costringendolo ad ore di lavoro straordinario o a ritmi stressanti.
Le conseguenze dell’assenteismo per malattia e dell’aumento dei carichi di lavoro sono :
– l’abbassamento del livello qualitativo delle prestazioni del processo lavorativo
– l’aumento dei livelli di stress del personale
– il passaggio dal mobbing verticale a quello orizzontale, perché i colleghi stressati si coalizzano contro il lavoratore anche quando non sono stati in precedenza coinvolti nelle azioni vessatorie.
Ovviamente tutto questo non vale quando il mobbing è attuato proprio per estromettere il lavoratore.
Occorre dire che oggi, nel 2018, i casi di mobbing strategico sono più rari che in passato perché le aziende hanno nuovi strumenti per licenziare.
Persistono e si diffondono, invece, le patologie organizzative legate alle relazioni di potere, in cui capi e colleghi individuano un “capro espiatorio” su cui scaricare le tensioni organizzative ed emotive legate alle pressioni del contesto competitivo, non ascrivibili solo al mobbing strategico.
L’impatto sui costi aziendali
Quando il mobbing orizzontale giunge all’epilogo finale, la vittima è costretta ad uscire dal lavoro e ciò, in alcuni casi, porta ulteriori costi perché l’azienda deve investire per ricercare, selezionare e formare nuovo personale.
Ovviamente, in caso di mobbing strategico per il venir meno di una posizione lavorativa divenuta obsoleta a seguito della ristrutturazione dei processi e, quindi, dell’organico, non aumentano i costi di sostituzione ma l’azienda riversa all’esterno il costo sociale del lavoratore espulso.
Infine, se il lavoratore mobbizzato ha subito danni permanenti dimostrati da perizie medico-legali, può richiedere il risarcimento dei danni professionali, biologici, morali ed esistenziali; l’azienda, in caso di perdita della causa, sarà costretta a risarcirlo.
Nelle aziende si attuano processi integrativi (comunicazione circolare, trasparente e diffusa, leadership riconosciuta, clima aziendale collaborativo, ecc.) e processi non integrativi (comunicazione centralizzata, leadership autoritaria, clima conflittuale, ecc.).
Il mobbing è evidentemente un processo non integrativo che ha una forza devastante per l’azienda e per i soggetti, interni ed esterni, che vengono coinvolti.
Per riassumere, la conseguenza principale del mobbing è un sensibile calo di produttività che si traduce in costi per l’azienda:
- il mobbizzato non lavora più con gli stessi ritmi e la stessa efficienza: è demotivato e spesso assente per malattia
- il mobber, compiendo sabotaggi o inducendo la vittima in errore, provoca costosi danni all’azienda, perdendo inoltre parte del suo tempo per mettere in atto le azioni prevaricatrici
- il mobbing ha effetti sul clima aziendale generale: anche i soggetti non coinvolti direttamente possono avvertire disagio e malessere, perdere motivazione e diminuire la loro produttività
- le relazioni interpersonali sono alterate: diminuisce la collaborazione all’interno dei gruppi di lavoro e si abbassa la qualità del lavoro stesso.
Conclusioni
In conclusione, ci sono 3 buone ragioni per intervenire nelle aziende dove si generano le patologie con azioni che correggano i fattori di rischio psicosociale e prevengano i danni peggiori:
- salvaguardare le persone con soluzioni di tipo medico, psicologico e legale che tutelino la loro salute psicofisica
- contenere gli aggressori, il che significa prendere provvedimenti utili affinché gli aggressori non siano più tali
- fare in modo che gli “spettatori” (che assistono agli eventi indifferenti o spaventati) non diventino essi stessi mobber, trasformando il mobbing da verticale a orizzontale.
Per fare questo, occorre lavorare sulle relazioni interne al contesto lavorativo, sulle relazioni interpersonali e organizzative tra capi e dipendenti e tra i dipendenti stessi, facendo leva anche sulle leggi e sulle norme esistenti.
Fine della 2a parte dell’intervento di Nunzia Pandoli al Convegno “Il mobbing come ipotesi di discriminazione” svoltosi a Prato nel 2006.
Nella foto in testa all’articolo, Nicoletta Braschi nel film di Francesca Comencini “Mi piace lavorare”.