Modifiche alle norme per la valutazione dei rischi psicosociali e legge nazionale per superare i limiti attuali
Modifiche alle norme per la valutazione dei rischi psicosociali e le legge nazionale per superare i limiti attuali sono stati i punti focali del secondo intervento del dott. Enzo Cordaro (Associazione Italiana Benessere e Lavoro – AIBeL) al convegno “Risposte al disagio lavorativo” che si è tenuto a Firenze il 16 marzo scorso.
Alla domanda posta da Mariangela Rumine, coordinatrice del Centro Lavoro Sereno e moderatrice della Tavola Rotonda “Quali sono i limiti, i punti deboli della situazione attuale e quali sono i mezzi per superarli?” il dott. Enzo Cordaro ha così risposto.
“I limiti sono un po’ quelli che già prima ricordavo.
O chi si occupa della prevenzione dello stress lavoro correlato e del disagio da lavorativo, e quindi anche dei comportamenti di mobbing, ha un mandato forte oppure accade ciò che dicevo a proposito della realtà del Lazio, a Roma, e cioè che ci sono persone che riescono a costruire qualcosa ma poi non hanno strumenti adeguati e fattivi per essere davvero efficaci e continuativi nell’operare.
Per questo, come avevamo detto alle ultime battute della network dell’Ispesl, c’è bisogno di far diventare la valutazione e prevenzione del rischio stress lavoro correlato un obbligo, un obbligo reale.
Come associazione Aibel abbiamo ipotizzato due importanti ipotesi di lavoro per superare questi limiti.
1. Modificare alcuni articoli del D.Lgs 81/2008
La prima è la modifica di alcuni articoli del Decreto Legislativo n. 81 del 2008 per far diventare gli interventi di prevenzione obbligatori e non occasionali.
I problemi delle patologie da stress lavoro correlato sono citati soltanto nell’art. 25 dove si parla delle competenze del medico del lavoro competente.
Ma negli articoli in cui si parla delle competenze che il datore di lavoro rimanda al Responsabile del Servizio di Protezione e Prevenzione (RSPP) per gli interventi di prevenzione, non viene affatto citato il problema della prevenzione del rischio stress.
Che cosa significa questo?
Significa che se la valutazione del rischio stress e degli altri rischi psicosociali correlati al lavoro viene rimandata soltanto al medico competente, tutto viene rimandato all’individuo che sta male, al dipendente che sta male.
Se, viceversa, si considera questo aspetto anche negli altri articoli e, quindi, si costringono le aziende a fare le valutazioni dei rischi finalizzate al Documento di valutazione dei rischi considerando anche le valutazioni finalizzate alla prevenzione del rischio stress, significa che le aziende devono fare un’azione di prevenzione agendo sui propri processi organizzativi.
Di conseguenza, se manca questo passaggio e il collegamento che ci deve essere tra l’art. 25 e gli altri articoli, è evidente che il problema diventa un epifenomeno, diventa un fatto per cui che se uno sta male, è lui che sta male e non è la realtà organizzativa che crea una situazione di disagio tale da determinare il problema.
2. Premere per la legge nazionale e approvare altre leggi regionali
Il secondo punto è la mancanza di una legge nazionale sul mobbing. E ora di dire “basta”: non si può rincorrere costantemente il fenomeno senza che ci sia un parametro di riferimento chiaro e preciso in termini legislativi.
L’avvocato Rombolà parlerà meglio di me di questo.
Crediamo che occorre stringere le forze cominciare a fare un lavoro concreto e reale.
Quanto alle leggi regionali, noi nel Lazio, insieme agli apparati tecnici regionali e al consigliere per le pari opportunità, abbiamo costruito un progetto di legge che è un ottimo progetto perché il disagio da lavoro è innestato nei processi sociali e produttivi della realtà regionale.
Questo progetto di legge non è stato ancora messo in discussione in Regione Lazio ma è alla base dei contenuti della legge della Campania, contenuti che sono stati ripresi anche nel progetto di legge per la regione Sardegna e potrebbero essere presi in considerazione anche qui in Toscana, perché è un’ottimo progetto legge.
In sintesi, il limite più grosso è il non collegare il problema del mobbing al problema più complesso del disagio da lavoro e alla valutazione del rischio stress e di tutti i rischi psicosociali sul lavoro, il che comporta il non avere l’agibilità professionale di fare un’effettiva prevenzione su tutti questi aspetti e non solo, come avviene ora, interventi di cura quando ormai il disagio e le patologie si sono manifestate.
Testo a cura di Nunzia Pandoli